Etica, perchè?

Quando diciamo: "Non devi uccidere!"
Quando diciamo: "Non puoi rubare."
Quando diciamo: "La violenza è sbagliata."

Quando diciamo: "E' giusto seguire la legge."

Cosa ce lo fa dire?
Cosa vogliono dire le nostre frasi?
Cosa sta dietro alle nostre affermazioni etiche?


Se ci troviamo a discutere con persone con
convinzioni molto differenti dalle nostre, come possiamo
dimostrare la correttezza delle nostre affermazioni? E
possiamo effettivamente farlo?

A queste domande, forse troppo pretenziose, si propone di
rispondere questo blog, proponendo la Teoria del
Mediativismo Etico.

Un piccolo contributo al grande discorso sulla morale.

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sabato 14 febbraio 2009

Soggettività Morale & Necessità dell'Oggettività.

Ognuno di noi ha un proprio, preciso o meno, schema morale, cioè ha in mente un elenco di norme da lui ritenute oggettivamente vincolanti.
Non importa da dove vengano quelle norme, né come si siano formate, né quali né quante siano; il fatto che siano presenti nella mente di ognuno è, a mio parere, autoevidente.

Il problema etico si pone quando un soggetto intende giudicare le qualità morali di un fatto (reale o ipotetico).

Il soggetto giudica secondo due parametri: l'accadimento in sé e le motivazioni del fatto.
L'accadimento in sé (ad esempio l'uccisione di una persona) può essere giudicato “buono”, “cattivo” o “moralmente neutro”. Le motivazioni a loro volta (come ad esempio la legittima difesa), possono essere “buone”, “cattive” o “moralmente neutre”.

Il soggetto giudicante mette poi a confronto la qualità morale delle motivazioni con la qualità morale dell'accadimento in sé, e valuta così la qualità morale del fatto. (per rimanere all'esempio di prima: uccisione di un uomo=cattiva, autodifesa=molto buona, fatto=neutro-buono).
La bontà/cattiveria dei fatti viene giudicata in base allo schema normativo morale del soggetto.
I fatti che vengono giudicati come aventi proprietà morali, sono naturalmente fatti in cui concorre l'azione umana; sarebbe infatti assurdo giudicare moralmente un accadimento naturale (un terremoto non è cattivo o buono, per quanti morti possa fare).

Tutto questo per chiarire un concetto fondamentale per il Mediativismo etico: il concetto di “schema normativo personale”, cioè l'insieme delle norme ritenute moralmente vincolanti da un certo soggetto.

Quando vari individui si confrontano su questioni morali, essi solitamente portano tesi a sostegno del proprio schema normativo personale.
Individui che provengono dalla stessa cultura o classe sociale, che hanno storie personali simili, probabilmente avranno schemi normativi simili o in parte coincidenti, in questo caso si pongono pochi problemi.

Nel loro discutere, se invece constatano effettive differenze di credenze morali, cioè profonde discrepanze fra i loro schemi etici normativi personali, nessuno di loro riuscirà a dimostrare razionalmente (in ultima analisi) l'assoluta validità del proprio schema rispetto a quelli altrui.
Ciò che permetterebbe una conclusione del discorso che venga accettata da tutti i partecipanti, sarebbe una norma unica, riconosciuta come oggettiva.

Abbiamo però affermato che ogni soggetto crede oggettivamente vincolanti solo le norme interne al suo personale schema morale; la conclusione del discorso pare quindi impossibile.
In alcuni casi però, ciò non è auspicabile. Quando, per esempio, si deve legiferare in un campo “moralmente ostico”, una conclusione al discorso morale va trovata.

Assumiamo che essi, grazie ad una particolare procedura (quella propria del Mediativismo Etico o altre), individuino una norma che tutti potrebbero riconoscere come oggettiva.

I parlanti si troveranno quindi di fronte a due norme morali: una norma personale, ed una condivisa, diverse ed entrambe considerate oggettive. Come è possibile?
È possibile, a patto che tutti riconoscano che l''unica norma che possa essere giustamente imposta a chiunque sia quella condivisa, nonostante essi probabilmente manterranno una psicologica preferenza per quella personale.

Di fronte all'alternativa tra un discorso senza alcuna conclusione e un discorso invece ben concluso, i parlanti dovranno preferire quello concluso, anche se la conclusione cozza con le loro personali credenze.
Di fronte all'impossibilità di dimostrare le proprie personali credenze, pur di giungere ad un accordo nei casi in cui serva, è necessario riconoscere come oggettive norme differenti da quelle proprie personali.

Si deve operare una scissione delle proprie credenze normative: è migliore per noi una norma (interna) ma vincolante per tutti -anche per noi- un'altra (esterna).

È necessario rinunciare a voler dimostrare come oggettive le proprie posizioni, al fine di individuare norme oggettive per chiunque, quindi realmente oggettive e vincolanti.

Ecco così che credo si possano trovare delle norme “oggettive”, intendendo così non oggettive “in sé e per sé”, ma “oggettive” in quanto sono le uniche che possano e debbano essere accettate come tali dagli interessati in una questione morale.

Sono oggettive perché altrimenti bisogna riconoscere l'impossibilità assoluta di risolvere ogni possibile questione morale.

Un po' come Kelsen giustificava l'esistenza di una “Grundnorm”, mi pare si possa giustificare l'oggettività di alcune norme morali, una volta riconosciuta la necessità di questo.

Appare qui evidente, che la riconosciuta "morale oggettiva" non sarà considerata la miglior morale possibile dai partecipanti al discorso morale (che preferiranno quella personale probabilmente), ma solamente l'unica che si possa ragionevolmente imporre, o che si pssa portare come prova definitiva in un discorso morale.



JackP ;)

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