Etica, perchè?

Quando diciamo: "Non devi uccidere!"
Quando diciamo: "Non puoi rubare."
Quando diciamo: "La violenza è sbagliata."

Quando diciamo: "E' giusto seguire la legge."

Cosa ce lo fa dire?
Cosa vogliono dire le nostre frasi?
Cosa sta dietro alle nostre affermazioni etiche?


Se ci troviamo a discutere con persone con
convinzioni molto differenti dalle nostre, come possiamo
dimostrare la correttezza delle nostre affermazioni? E
possiamo effettivamente farlo?

A queste domande, forse troppo pretenziose, si propone di
rispondere questo blog, proponendo la Teoria del
Mediativismo Etico.

Un piccolo contributo al grande discorso sulla morale.

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venerdì 20 febbraio 2009

L'ambiguità dell'oggettività

La teoria del Mediativismo Etico, così come proposta nel precedente post, lscia spazio a molte domande.

Quella postata da "md" è stata molto significativa: si può riassumere in "Come mi comporto, se a seconda del gruppo sociale considerato cambiano le norme che sono oggettive?"

Domanda che mi da l'occasione per specificare un aspetto della teoria che per ragioni di lunghezza non avevo trattato nel precedente post.

Il Mediativismo Etico, proponendo un concetto di oggettività "relativa", male si presta alla definizione delle norme da adottare per giudare il proprio comportamento.

O meglio, si presta solo parzialmente a questo scopo.

L'oggettività o meno di una norma morale, entra in gioco nel giudizio delle azioni compiute o da compiersi, rapportata al gruppo sociale dal quale si vuole veder riconosciuto il proprio agire come oggettivamente giusto.

Intendo: se ho intenzione di comportarmi in modo che, considerando la comunità italiana, le mie azioni siano oggettivamente giuste, seguirò le norme oggettive del gruppo sociale degli italiani; se invece vorrò che le mie azioni siano giuste a livello universale, seguirò le norme oggettivamente giuste considerando l'intera umanità come gruppo sociale di riferimento.

Ora, dovendo osservare solo il profilo morale della questione del "Come mi comporto?", sarebbe auspicabile che ognuno tenda al massimo grado di oggettività raggiungibile.
Quindi, se si intende agire il più correttamente possibile, a mio parere, è opportuno seguire quelle norme che sarebbero ritenute oggettive seguendo la procedura del Mediativismo Etico , considerando come gruppo sociale di riferimento l'umanità intera.

E' però allo stesso tempo opportuno che si prendano in considerazione anche le norme oggettive nei gruppi sociali all'interno dei quali si è solitamente inseriti; ad esempio la propria comunità nazionale, la propria comunità locale, la propria famiglia e finanche la propria solita compagnia di amicizie.
Qualora una norma oggettiva all'interno dei gruppi sociali "minori" cozzi violentemente con una norma oggettiva al massimo grado, sarà naturalmente la prima a cedere; altrimenti, è opportuno ancora una volta bilanciare, valutare, mediare, e trovare così un modus vivendi il più possibile oggettivamente giusto universalmente e "localmente".


Credo che una norma che potrebbe essere riconosciuta come oggettivemente giusta al massimo grado (universalmente o quasi), si possa esprimere così:
"Comportati in modo che le tue azioni siano il più oggettivemente giuste possibile, compatibilmente con l'evitare quanto possibile lo scontro con i gruppi sociali all'interno dei quali sei inserito."

Non mi permetto di affermare che tale norma sia oggettiva, ma potrebbe esserlo; se lo fosse (se fosse riconosciuta tale a livello universale con le procedure del Mediativismo Etico) sarebbe una parziale risoluzione alla domanda "Come mi comporto?" posta da "md".


JackP ;)

domenica 15 febbraio 2009

Il cuore della teoria: la pratica del Mediativismo Etico

Dopo le premesse fatte nei giorni precedenti, posso provare a descrivere, a grandi linee, il pilastro fondamentale della teoria del Mediativismo Etico.

Punto focale della teoria è il seguente:
Quando si presenta la necessità di trovare una norma morale oggettiva, questa necessità si presenta come rapportata ad un preciso gruppo sociale.
Il gruppo sociale da considerare è composto dalla totalità degli individui interessati al giudizio morale in questione.

Per esemplificare: se si vuole trovare un norma morale oggettiva che disciplini l'aborto al fine di creare una legge in materia abortiva in Italia, il gruppo sociale da prendere in considerazione sarà la totalità degli Italiani, più coloro che, pur non essendo Italiani, sarebbero materialmente toccati più o meno indirettamente dall'adozione di una norma sull'aborto in Italia.

Se si volesse invece trovare una norma morale per motivi speculativi, non valida per un unico gruppo sociale, ma utile per la valutazione di un'azione di un qualsiasi essere umano, allora il gruppo sociale da considerare sarà l'intera umanità.

Si ha così un apparente non-sense: potrebbe essere che, in Italia sia oggettivamente moralmente vincolante una certa norma, in tutta Europa una opposta, considerando tutto il Mondo sarebbe vincolante una terza norma differente ancora.
Si potrebbe affermare quindi: la teoria cade in contraddizione sul nascere, in quanto può essere oggettivamente vincolante una sola di queste tre norme.
Questa possibile critica, parte dall'assunto che l'oggettività debba essere univoca, posizione che non ritengo vera, né necessaria.

Ritengo che anche l'oggettività debba ricadere sotto la legge della Relatività.
Anche l'oggettività dipende dal punto di vista.

Dipende dal punto di vista che vogliamo adottare per il giudizio morale.

Così è possibile che, giudicando ad esempio un atto di eutanasia, esso sia oggettivamente sbagliato in Italia, oggettivamente giusto in Europa, e oggettivamente neutro nel Mondo; lo valutiamo in ragione della portata che vogliamo abbiano le nostre considerazioni morali.

Si ha così uno stravolgimento del concetto di “oggettività”.
Una norma morale oggettiva appare qui come “una norma che, in un discorso etico reale, può essere portata come parametro di giudizio di un fatto senza risultare solamente una norma morale soggettiva.”
Dal contesto, dall'intenzione, dai partecipanti del discorso etico reale che si intende intraprendere, si dovrà derivare il punto di vista utilizzabile per la valutazione del fatto morale che si intende giudicare.

Scelto il gruppo all'interno del quale si vuole individuare una norma oggettiva, scelta la materia per la quale si intende trovare la norma, si può passare alla procedura di individuazione della stessa.
Nel gruppo, ognuno avrà una posizione differente rispetto alla materia in questione, lo schema normativo soggettivo di ognuno conterrà una norma a proposito.

Abbiamo quindi un numero definito di norme singolari, e dobbiamo da queste ricavare un'unica norma oggettiva. Si dovrà quindi effettuare una procedura di MEDIAZIONE tra tutte le posizioni singolari; si otterrà così una norma oggettiva differente da ogni norma singolare, che tenga conto delle differenti posizioni in rapporto a quanto esse sono condivise all'interno del gruppo.
La mediazione proposta è teorica, nel senso che, volendo individuare la norma oggettiva, bisogna in essa includere e conciliare tutte le posizioni soggettive; operazione questa materialmente quasi irrealizzabile, ma teoricamente possibile.

Se una grande maggioranza dei soggetti credono in norme simili tra loro, la norma oggettiva sarà probabilmente vicina alle loro posizioni, ma mediandole con tutte le posizioni di minoranza.
Si da quindi un identico peso alla posizione soggettiva di ognuno, che comporta un maggiore peso per le posizioni condivise dalla maggioranza, ma un peso non indifferente anche per le posizioni in minoranza.

Come i puntini in un quadro di puntinisti, le posizioni singolari contribuiranno alla determinazione dell'oggettività, saranno tutte parimenti fondamentali ma nessuna maggiormente determinante.
Se un soggetto cambiasse le proprie convinzioni, il quadro nel complesso non risulterebbe quasi per nulla differente; ma qualora fossero molti a mutare d'idea, l'opera cambierebbe in modo significativo.

Si ha così una morale oggettiva fondata sull'uomo, sulle sue credenze personali, non separata da esso.
Poiché è l'uomo il fondamento della morale (infatti l'esistenza della morale senza l'esistenza dell'uomo sarebbe cosa assurda), si rende evidente che deve essere l'uomo stesso a determinarla.
È una morale oggettiva quindi relativa, e determinata dall'uomo, in continuo mutamento.

I parlanti in un discorso morale potranno portare la norma trovata grazie a questa mediazione come argomento definitivo del discorso, ed essa potrà (e dovrà) essere riconosciuta come oggettiva.

Ecco il centro fondamentale delle teoria del Mediativismo Etico a Gruppi, la morale oggettiva va trovata in realzione al grupo dal quale si vuol far riconoscere la sua ogegttività, mediando tutte le posizioni singolari per creare un'unica morale, l'unica imponibile come oggettiva nel gruppo scelto.


JackP ;)

sabato 14 febbraio 2009

Soggettività Morale & Necessità dell'Oggettività.

Ognuno di noi ha un proprio, preciso o meno, schema morale, cioè ha in mente un elenco di norme da lui ritenute oggettivamente vincolanti.
Non importa da dove vengano quelle norme, né come si siano formate, né quali né quante siano; il fatto che siano presenti nella mente di ognuno è, a mio parere, autoevidente.

Il problema etico si pone quando un soggetto intende giudicare le qualità morali di un fatto (reale o ipotetico).

Il soggetto giudica secondo due parametri: l'accadimento in sé e le motivazioni del fatto.
L'accadimento in sé (ad esempio l'uccisione di una persona) può essere giudicato “buono”, “cattivo” o “moralmente neutro”. Le motivazioni a loro volta (come ad esempio la legittima difesa), possono essere “buone”, “cattive” o “moralmente neutre”.

Il soggetto giudicante mette poi a confronto la qualità morale delle motivazioni con la qualità morale dell'accadimento in sé, e valuta così la qualità morale del fatto. (per rimanere all'esempio di prima: uccisione di un uomo=cattiva, autodifesa=molto buona, fatto=neutro-buono).
La bontà/cattiveria dei fatti viene giudicata in base allo schema normativo morale del soggetto.
I fatti che vengono giudicati come aventi proprietà morali, sono naturalmente fatti in cui concorre l'azione umana; sarebbe infatti assurdo giudicare moralmente un accadimento naturale (un terremoto non è cattivo o buono, per quanti morti possa fare).

Tutto questo per chiarire un concetto fondamentale per il Mediativismo etico: il concetto di “schema normativo personale”, cioè l'insieme delle norme ritenute moralmente vincolanti da un certo soggetto.

Quando vari individui si confrontano su questioni morali, essi solitamente portano tesi a sostegno del proprio schema normativo personale.
Individui che provengono dalla stessa cultura o classe sociale, che hanno storie personali simili, probabilmente avranno schemi normativi simili o in parte coincidenti, in questo caso si pongono pochi problemi.

Nel loro discutere, se invece constatano effettive differenze di credenze morali, cioè profonde discrepanze fra i loro schemi etici normativi personali, nessuno di loro riuscirà a dimostrare razionalmente (in ultima analisi) l'assoluta validità del proprio schema rispetto a quelli altrui.
Ciò che permetterebbe una conclusione del discorso che venga accettata da tutti i partecipanti, sarebbe una norma unica, riconosciuta come oggettiva.

Abbiamo però affermato che ogni soggetto crede oggettivamente vincolanti solo le norme interne al suo personale schema morale; la conclusione del discorso pare quindi impossibile.
In alcuni casi però, ciò non è auspicabile. Quando, per esempio, si deve legiferare in un campo “moralmente ostico”, una conclusione al discorso morale va trovata.

Assumiamo che essi, grazie ad una particolare procedura (quella propria del Mediativismo Etico o altre), individuino una norma che tutti potrebbero riconoscere come oggettiva.

I parlanti si troveranno quindi di fronte a due norme morali: una norma personale, ed una condivisa, diverse ed entrambe considerate oggettive. Come è possibile?
È possibile, a patto che tutti riconoscano che l''unica norma che possa essere giustamente imposta a chiunque sia quella condivisa, nonostante essi probabilmente manterranno una psicologica preferenza per quella personale.

Di fronte all'alternativa tra un discorso senza alcuna conclusione e un discorso invece ben concluso, i parlanti dovranno preferire quello concluso, anche se la conclusione cozza con le loro personali credenze.
Di fronte all'impossibilità di dimostrare le proprie personali credenze, pur di giungere ad un accordo nei casi in cui serva, è necessario riconoscere come oggettive norme differenti da quelle proprie personali.

Si deve operare una scissione delle proprie credenze normative: è migliore per noi una norma (interna) ma vincolante per tutti -anche per noi- un'altra (esterna).

È necessario rinunciare a voler dimostrare come oggettive le proprie posizioni, al fine di individuare norme oggettive per chiunque, quindi realmente oggettive e vincolanti.

Ecco così che credo si possano trovare delle norme “oggettive”, intendendo così non oggettive “in sé e per sé”, ma “oggettive” in quanto sono le uniche che possano e debbano essere accettate come tali dagli interessati in una questione morale.

Sono oggettive perché altrimenti bisogna riconoscere l'impossibilità assoluta di risolvere ogni possibile questione morale.

Un po' come Kelsen giustificava l'esistenza di una “Grundnorm”, mi pare si possa giustificare l'oggettività di alcune norme morali, una volta riconosciuta la necessità di questo.

Appare qui evidente, che la riconosciuta "morale oggettiva" non sarà considerata la miglior morale possibile dai partecipanti al discorso morale (che preferiranno quella personale probabilmente), ma solamente l'unica che si possa ragionevolmente imporre, o che si pssa portare come prova definitiva in un discorso morale.



JackP ;)

martedì 10 febbraio 2009

Razionalità, Morale & Oggettività

Prima ancora di entrare nel dettaglio della teoria, è necessario confutare uno degli assiomi che ha guidato molti speculatori sull'etica.

Non io per primo, ma anche io, voglio affermare la mancanza di legame tra il mondo dell'etica e la razionalità.
Mi verranno qui incontro molte pensatrici femministe (vedi Gilligan), come pure molti emotivisti, e insoddisfatti del razionalismo in genere.

Per secoli, le verità etiche erano poste al pari delle verità scientifiche in quanto conoscibili attraverso processi logici (così in S.Tommaso, e più ancora in Wolf, come in tutti i naturalisti razionalisti). Ora, a me pare che di questo non se ne veda la ragione. Molti ancora lo sostengono, ponendo la Razionalità come giudice del male e del bene.
A me pare invece che questa poco ci azzecchi con l'etica e la morale.
Alcuni grandi pensatori, convinti forse d'essere più razionali di molti altri, sostengono che la morale sia da ricercare grazie alla razionalità (forse così sentendosi più vicini di altri ad essa, diciamo avvantaggiati nella corsa), senza però mai giustificare questa affermazione, che evidentemente ritengono scontata.

E' un'errore comune, che compiono anche gli esponenti delle etiche del discorso.
Dicendo che, per stabilire una morale, è opportuno creare le condizioni per un discorso ideale, RAZIONALE, essi sottendono che sarà la razionalità a fornire la correttezza alle conclusioni del discorso morale.
Perchè?

Forse, ci si appella alla razionalità perchè spesso l'irrazionalità può sembrare causa di molti mali.
Ma, nel giudicare i "mali" dell'irrazionalità si prende già in partenza posizione a favore della razionalità, è quindi un discorso circolare. "La tal cosa è irrazionale perchè genera dei mali, e genera dei mali perchè è irrazionale." Una tautologia.

Forse, ci si appella alla razionalità perchè, in campo scientifico, ci assicura la correttezza, ma è giusto estendere il metodo scientifico anche oltre il discorso su fatti empirici?
Usciti dal sicuro terreno delle prove scientifiche del mondo fattuale, la razionalità mi pare che sia come una piccola candela per illuminare una grande stanza buia.

E' certo che la tanto adorata razionalità è un fattore positivo, all'interno dei discorsi morali, ma a mio avviso non è ciò che può avere l'ultima parola sull'etica.

Spesso è stato anche spacciato per "razionale" molto materiale che razionale non era, ma solo ragionevole a priva vista.
Grazie alla stessa "razionalità", molti autori hanno raggiunto posizioni incredibilmente differenti; se veramente fosse stata solo la razioalità pura a guidarli, non avrebbero dovuto forse giunere alle stesse conclusioni?

Lancerò una provocazione: le proprie posizioni riguardo a ciò che si crede male o bene, non necessitano di giustificazione.
Questo perchè, ad un'attenta analisi, ogni giustificazione delle proprie posizioni cade in uno degli errori svelati dal Trilemma di Munchausen.
Tutte, tranne quelle che si appellano a qualche etica del discorso (a proposito di ciò si veda Apel e la sua contestazione del Trilemma).

Ora, quindi, l'ultima barriera da abbattere prima di poter dichiarare la mancanza di vincoli tra razionalità e morale, sono le etiche del discorso.

In sintesi, queste sono etiche procedurali, che prescrivono un metodo per scoprire verità morali.
Questo metodo consiste nel creare un "discorso ideale", con delle regole che permettano l'ideale svolgimento dello stesso, supponendo un tempo illimitato per portarlo a termine e nessun limite alle problematizzazioni che possono porre i partecipanti al dialogo.
Secondo i teorici di queste etiche, grazie alla razionalità del discorso e dei parlanti, il risultato della procedura sarà un assenso della totalità dei parlanti sulle qualità morali del fatto in discussione, dall'assenso totale deriva l'oggettività della morale (l'assenso deriva dalla razionalità).

Ora, a me pare che qui la critica sia perfino troppo scontata.
Già i primi emotivisti avevano, senza saperlo, confutato le etiche del discorso; lo aveva fatto Ayer sostenendo che, in una discussione circa un fatto morale, o si riconosceva una divergenza su questioni di fatto quindi il discorso non era realmente vertente su fatti morali, o si riconosceva una effettiva divergenza di convinzioni etiche senza possibilità di convincere RAZIONALMENTE l'interlocutore delle proprie (differenti) opinioni. Il convincimento dell'interlocutore può avvenire solamente grazie ad un uso DINAMICO del linguaggio, quindi non necessariamente RAZIONALE.

Ecco che, nonostante il discorso morale supposto dagli etici del discorso sia "ideale", non potrà giungere a conclusione grazie ad argomentazioni razionali che mettano d'accordo la totalità dei parlanti, perchè semplicemente l'accordo non si raggiungerà mai con la sola razionalità.

Cosa dovrebbe legare le parole "giustizia" e "razionalità"? Non un vincolo semantico, non un processo logico, solo un'opinione anch'essa fuori della razionalità stessa, a mio parere.

La morale, mi pare di poterlo affermare, è un fatto extra-razionale. Influenzata (e giustamente) da sentimenti e pasioni, da convinzioni anche prive di fondamento (e che non necessitano di esso).

Questa tesi è stata già difesa da Habermas, con voce infinitamente più autorevole della mia; l'ha fatto sottolineando la lacuna della morale in campo motivazionale.

La razionalità è spesso una buona caratteristica, ma non basta, da sola, a rivelare la verità assoluta (se c'è) su questioni morali ed etiche.
Le convinzioni morali di un pazzo,o di una persona senza alcuna istruzione, non c'è ragione per affermare che valgano meno di quelle di un filosofo o di uno scienziato.

La morale non è vincolata alla razionalità, e questa è l'apertura del discorso etico ai sentimenti e alle impressioni ingiustificate (e ingiustificabili); punto di partenza e pilastro del Mediativismo Etico.


JackP ;)

Introduzione al Mediativismo Etico A Gruppi


Ritengo, come primo passo, che vadano esposte le basi della teoria che sto cercando di elaborare, i concetti che è necessario aver interiorizzato per poterla apprezzare.

In primis, è necessario specificare che questa teoria non ha alcuna pretesa di oggettività, nè presunzione di correttezza.
La teoria che qui si svilupperà ha il principale intento di mostrarsi quale buona visione del discorso etico, condivisibile dai più.
Non è una teoria che vuole DIMOSTRARSI corretta, ma più semplicemente MOSTRARSI tale, o almeno apprezzabile.

Inoltre, importante nella mia elaborazione è il contributo dello scetticismo e dell'emotivismo di Ayer, Stevenson, Makie .
Beninteso: il Mediativismo Etico non è una teoria radicalmente scettica, al contrario punta alla scoperta di valori il più possibile oggettivi; ma il punto di partenza deve essere una visione etica sgombera quanto più possibile da altre teorie oggettiviste.

Fondamentale è la critica all'intuizionismo mossa dai vari autori nella storia, infatti il Mediativismo Etico è incompatibile con ogni forma di intuitivismo, soprattutto in quanto spesso l'intuitivismo presuppone una ragione forte nel contesto della scoperta dei principi etici.

Le varie etiche del discorso invece (si veda Apel, Alexy, Habermas) sono qui criticate, ma allo stesso tempo parzialmente accolte. Fondamentale è il loro contributo per la formazione della mia teoria (il Mediativismo propone infatti un'etica procedurale).

I miei ringraziamenti per l'aiuto ricevuto per la formulazione delle pagine che verranno pubblicate vanno a molti professori di Filosofia del Diritto dell'università di Bologna, che hanno saputo darmi spesso molti essenziali spunti e suggerimenti durante le loro lezioni, cito qui Corrado Roversi, Antonino Rotolo, Alberto Artosi ed Enrico Pattaro (e molti altri).

Rngrazio fin da ora chi vorrà contribuire allo sviluppo della mia scarsa teoria, chi se ne interesserà e chi (se mai acadrà) la adotterà e diffoderà.


JackP ;)

Inizio dei Lavori


Lo studio della filosofia del diritto non poò lasciare indifferenti agli argomenti lì trattati.

Cercando tra le molte teorie già proposte e sviluppate da moltissimi illustri signori, non una mi ha saputo completamente convincere.

Non il naturalismo, scartato in partenza.
Non l'intuituitivismo, già confutato da molti.
Non il razionalismo, nonostante molte sue forme siano interessanti.

Forse, e dico forse, è venuto il momento di creare un'idea nuova, almeno in parte.

Purtroppo, in filosofia c'è il rischio di presentare come nuovo ciò che è già stato detto da altri che non si conoscono; se così sarà, invito i miei lettori ad essere indulgenti, e non criticarmi per la lacuna della mia conoscenza.

Iniziano i lavori per la creazione della Teoria del Mediativismo Etico a Gruppi, e spero che i miei 25 lettori (se sarò tanto fortunato da averne un sì insperato numero) possano contribuire con consigli, critiche e obbiezioni; per rimettermi sulla giusta via qualora perdessi il filo d'arianna che mi appresto a seguire.

JackP ;)